Alba
(26 aprile 1796)
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Entrée des troupes françaises dans la ville d'Alba - Pompeia
en Piemont.
Acquarello, mm 540 x 820. Parigi, Versailles e Trianon |
Il giorno 26 aprile le truppe francesi, comandate da
Augereau, occupano Alba abbandonata dai piemontesi fin dal 19. Insieme con
il generale francese arriva in città anche il Saliceti, che vi rimane fino
ai primi di maggio. Lo scopo è quello di minacciare il Colli a Bra
dalla bassa valle del Tànaro. Inoltre Napoleone sa quanto è importante agire
psicologicamente sul re con lo spauracchio di una rivoluzione giacobina per
spingerlo ad una pronta cessazione delle ostilità. Viene infatti innalzato
l'albero della libertà e viene proclamata la municipalità repubblicana
di Alba.
Ad alcuni giacobini piemontesi vengono assegnate cariche come
quella di commissario deputato e di "maire". Si cerca di fare un censimento
dei magazzini di armi e di viveri appartenenti all'esercito piemontese e austriaco
e vengono requisiti castelli e beni. La municipalità repubblicana albese è
composta soprattutto da borghesi quali commercianti, avvocati, ex ufficiali,
medici, agricoltori facoltosi. Non ha però molto tempo per esercitare le sue
funzioni. Due giorni, per l'esattezza, dal 26 al 28, quando
viene firmato l'armistizio di Cherasco in cui, di fatto, si riconosce al re
la sua sovranità.
Se in una prima fase della campagna d'Italia Napoleone aveva
incitato i giacobini piemontesi alla rivolta perché riteneva che questo potesse
in qualche modo facilitare i suoi piani, in un secondo momento il generale
francese aveva incominciato a considerarli come personaggi scomodi se non
pericolosi. Quasi delle mine vaganti. E cercherà di limitarne l'operato il
più possibile. I rivoluzionari di Alba, così come in genere i giacobini
piemontesi, si trovano quindi senza l'appoggio francese, senza gli strumenti
per rovesciare la monarchia.
Dopo l'armistizio e dopo la pace, che sanciva il ritorno di
Alba e di tutto il Piemonte sotto il re, molti repubblicani, albesi e non,
temeranno per la propria incolumità, anche se poi l'articolo 8 del trattato
di Parigi obbligherà il re di Sardegna a concedere l'impunità a tutti coloro
che si erano resi colpevoli di delitti politici, annullando anche le condanne
già pronunciate.